Matteo Iozzi è un ragazzo buono, generoso, dal cuore enorme. Da bambino diventa vittima di quella merda chiamata BULLISMO. Il suo carattere mite lo fa chiudere in sé stesso, riuscendo a trovare conforto soltanto nel cibo. Mangia, mangia troppo Matteo. Da ragazzino sottopeso, diventa un ragazzo obeso, ferito così nel profondo da non riuscire a chiedere aiuto nemmeno ai suoi meravigliosi genitori, Giusi e Gianni. Conosciutisi nel 1994, la mamma e il papà di Matteo hanno messo (e lo fanno tutt’ora) la loro vita al servizio degli ultimi, partecipando come volontari a diverse missioni umanitarie. Matteo ovviamente è sempre con loro, in prima linea. Ama aiutare chiunque ne abbia bisogno, la sua voglia di dare è davvero commovente. Nel maggio del 2016 decide di partecipare come volontario all’Operazione Colomba (la quale nasce nel 1992 dal desiderio di alcuni volontari e obiettori di coscienza della Comunità Papa Giovanni XXIII di vivere concretamente la nonviolenza in zone di guerra). Matteo è un ragazzo buono, un Uomo di Pace. Capisce però che per aiutare al meglio gli altri, deve prima imparare ad amare sé stesso. Chiede così il permesso alla mamma di andare in una Comunità Terapeutica per combattere la sua dipendenza dal cibo e per riuscire a conquistare l’indipendenza dai genitori che a soli 19 anni ritiene necessaria. Giusi ovviamente è d’accordo, Matteo pesa 142 kg, ma ha testa e fegato per affrontare una prova del genere e lo sostiene in questa decisione. Il 9 giugno, Matteo bacia e abbraccia i genitori ed entra nella Comunità Terapeutica Papa Giovanni XXIII, fondata da Don Oreste Benzi, a Longiano, vicino Rimini.

Sarà l’ultima volta che lo vedranno vivo.

Matteo Iozzi muore in quella struttura il 13 luglio 2016, 33 giorni dopo il suo arrivo.

Ecco le parole di Mamma Giusi, una donna straordinaria che da 5 anni cerca la Verità sulla morte di suo figlio. Una donna, insieme al marito Gianni, di una dignità encomiabile che non grida Vendetta, ma con la dolcezza che la contraddistingue chiede solo di sapere perché il suo ragazzo dal cuore d’oro ci ha lasciati in modo così improvviso e ancora misterioso:

La storia di mio figlio Matteo

Tutto l’amore di Matteo per gli animali

“Matteo dall’età di 8 anni a causa del bullismo, era prostrato dalla depressione e ha cercato di scacciarla buttandosi nel mangiare… Era un ragazzino di 19 anni, amante di equitazione, di football americano che praticava con la squadra dei Bears di Alessandria, di crossfit, di nuoto e frequentava come figurante i Balestrieri di Genova facendo gare di balestra e, quando poteva, si divertiva ad assaltare i nemici del castello. Chi lo conosceva, soprattutto i bambini o i ragazzi della scuola delle superiori, lo chiamavano “Il Gigante buono” perché faceva divertire tutti, soprattutto i bambini. Sapeva cosa volesse dire BULLISMO e diventato grande, era lui che proteggeva chi veniva bullizzato, grazie alla sua stazza… Andava spesso all’oratorio della parrocchia e si divertiva con i suoi amici. Dall’età di 17 anni andava a ballare qualche volta il sabato sera, con gli amici e amiche di equitazione. Matteo è stato in Brasile con noi genitori, come missionari, inviati dalla Diocesi di Tortona per aiutare le Opere Sociali della Diocesi di Rio Branco per 2 anni. Lui amava molto gli animali ed era sempre sul suo cavallo Malhaçao che gli faceva compagnia e spesso andavano all’interno della foresta Amazzonica, andava a trovare le famiglie e mentre c’era, perché lui amava gli Indios del posto, portava con sé caramelle per i bambini e qualche alimento per tutta la famiglia.. Era di cuore Matteo e voleva sempre condividere con gli altri ciò che aveva… L’egoismo e le ingiustizie erano le cose principale che lui odiava di più. Grazie alla sua stazza, tutti gli anni era sottoposto a ricoveri a Piancavallo e altre strutture per il controllo del suo stato di salute dimagrendo almeno 12/14 kg in un mese. L’ultimo ricovero alla clinica Villa Azzurra di Rapallo, risale ad aprile del 2016: Matteo era alto circa 190 cm circa e pesava 142 kg di peso perciò, la nutrizionista gli aveva prescritto una dieta da 2.300 calorie. Beveva 2 litri di acqua e più al giorno, la maggior parte dei liquidi li assumeva durante la notte perché con problemi di russamento gli si asciugava moltissimo la bocca… Sia d’inverno che in estate soffriva molto il caldo e, per questo motivo, anche in inverno spesso in casa indossava magliette con maniche corte e pantaloncini corti e si cambiava gli indumenti almeno tre volte al giorno perché sudava moltissimo, in estate, ovviamente, le condizioni climatiche complicavano maggiormente la sua delicata situazione. Soffriva spesso di scariche diarroiche, giramenti di testa soprattutto quando sudava e quando era a dieta, lo curavo con Imodium, sali minerali e dandogli sovente da bere. Aveva molta paura delle malattie: ogni volta in cui non stava bene era lui a farmi domande per essere rassicurato, era lui che grazie alla mia educazione sulla salute, mi chiedeva, gli integratori di sali minerali e aveva cura di assumere la giusta quantità di liquidi per non disidratarsi. Matteo aveva deciso di andare in comunità terapeutica Papa Giovanni XXIII fondata da Don Oreste Benzi, a Longiano, vicino a Rimini, perché voleva dare una svolta alla sua vita e finalmente uscire dal vortice della depressione e dell’obesità, per essere una risorsa e non un peso, perché il suo sogno era quello di fare parte dei caschi bianchi, con Operazione Colomba, che collabora con l’ONU”.

Queste le parole di Matteo alla mamma Giusi

Mamma, io sono stufo di soffrire, sono stufo di dipendere da te e papà, voglio recidere per sempre il cordone ombelicale che mi unisce ancora a voi, voglio essere io a essere capace a prendere decisioni sulla mia vita, voglio essere indipendente un giorno e non voglio più subire umiliazioni solo perché sono grasso… Voglio diventare un uomo prendendo le mie responsabilità, sono convinto che quella esperienza, mettendomi nelle loro mani, fare la gavetta per un cambiamento della mia vita in quella Comunità, per poi avere come premio, la mia autostima, la mia autonomia
quindi seguire la dieta che la dottoressa nutrizionista mi ha dato, qui in casa aprirei il frigo molte volte, perché sempre a mia disposizione. Ho conosciuto gli educatori alla tre giorni di Forlì e mi posso fidare. Vedrai mamma che cambiamento, vedrai come le ragazze mi correranno dietro, diventerò un figurino. Mamma, mi dai la tua benedizione? Mi fai andare? Mi sono innamorato di Operazione Colomba, voglio diventare un casco bianco e svolgere il Servizio Civile
”.

“Gli risposi che seguire le regole di una comunità terapeutica benché andasse per dimagrire e non avesse nulla a che fare con gli stupefacenti, non sarebbe facile. Non poter uscire quando avrebbe voluto, alzarsi tutte le mattine presto, andare a fare tutto ciò che i responsabili chiedono per svolgere delle attività lavorative, avere a che
fare con ragazzi problematici, colpiti dalla droga, sarebbe stato molto difficile e impegnativo. Ai miei dubbi, Matteo replicò “Mamma, anche io sono un drogato, certo non di stupefacenti, ma di cibo“. Il 9 di giugno dopo un forte abbraccio e un bacio sulla guancia, rassicurandomi che sarebbe andato tutto bene, è partito. Non è più tornato nella sua casa con noi genitori. Matteo, come aveva detto un educatore, era lì per dimagrire, e in un mese aveva perso dai 10 ai 12 kg, aveva perso acqua e non grasso, come succedeva quando andava in strutture auxologiche. La responsabilità non è di nessuno. Non è dei responsabili e non è della dottoressa perché ha prescritto i medicinali giusti. Tuttavia, il giorno dopo la visita medica Matteo è morto. Senza andare al pronto soccorso. E’ morto davanti a tutti i ragazzi della comunità, che avevano assistito agli ultimi istanti della sua agonia… Il suo compagno di stanza ha riferito che durante la notte prima di morire, era in confusione, accendeva e spegneva la luce, andava avanti e indietro nel bagno, accendeva e spegneva il ventilatore e così fino al mattino. La dottoressa, dopo aver visitato Matteo, ha riferito che aveva la lingua secca, poca nausea, pressione a posto, né mal di pancia, che era tonico e presente, non disidratato. Eppure Matteo in estate si cambiava 3 volte al giorno da quanto sudava… La dottoressa ha confermato di conoscerlo poco e di averlo visto solo 2 volte in 34 giorni, nonostante Matteo vomitasse anche un semplice bicchiere d’acqua, e di avergli prescritto sali minerali ed Enterelle da prendere per bocca. I responsabili della comunità hanno riferito ai Carabinieri che nei giorni precedenti alla morte Matteo aveva avuto un piccolo malessere, (poteva essere dolore allo sterno) che era affetto da astenia, aveva vomitato, al punto di indurli a portarlo dal medico il giorno prima che morisse perché rimetteva anche l’acqua e non riusciva più a mangiare. Matteo il giorno dopo è stato lasciato solo mentre i responsabili e gli operatori in servizio al mattino si trovavano al piano inferiore della struttura. Il suo compagno di stanza ha dichiarato che, mentre si recava in bagno, ha intravisto Matteo e, spaventatosi per le sue condizioni, ha avvisato subito gli educatori, riferendo loro che respirava male, aveva la bocca aperta e gli occhi fissi. A noi genitori hanno, invece, è stato riferito che Matteo era stato male solo il giorno prima che aveva vomitato e che è morto all’improvviso. Ci è stato raccontato che è morto dopo un malore improvviso, sicuramente a causa di un infarto”.

“Il 2 novembre, ritirata l’autopsia, ho dovuto affrontare la realtà”, racconta Giusi

“Mi sono chiesta perché i responsabili della comunità non ci hanno avvisato subito che nostro figlio stava male e perché ci hanno contattato dopo che era morto? Perché non siamo stati avvertiti la notte o alle prime ore del mattino visto che era già grave? Perché non è stato portato in pronto soccorso? Perché non è stata chiamata subito un’ambulanza? Queste persone ci hanno incontrato, hanno parlato con noi fino a quando non abbiamo ricevuto la relazione autoptica. E l’autopsia ha svelato una verità diversa e sconvolgente: Matteo è morto per uno scompenso elettrolitico. Che destino crudele: ho raccomandato loro di allontanare la dottoressa da tutti i ragazzi che passavano dalla Comunità S. Luigi di Longiano di portare chi stava male subito al pronto soccorso e in quel frangente mi sono sentita dire “Già, adesso appena tira un pelo, bisogna portarli subito al P.S.!”. Ricordo di aver replicato che non chiamarmi appena Matteo era peggiorato era stato insensato e mi è stato risposto “e già adesso per un po’ di bubú al pancino dobbiamo chiamare la mamma!!“. Ancora oggi penso che se hanno sbagliato nell’accudirlo li potrei PERDONARE purché emerga la VERITÀ. All’epoca della morte di mio figlio chiesi ai responsabili della comunità di starci vicino perché per noi era molto importante vivere Matteo attraverso i ragazzi e loro, per noi erano come fratelli e sorelle. Nella sofferenza potevamo combattere il vuoto che ci aveva lasciato Matteo senza più poterlo averlo di persona. Per tutta risposta sono spariti e i nostri sogni, compreso quello di Matteo, sono stati spezzati per sempre, ci hanno abbandonati a noi stessi e ancora oggi attendiamo una semplice telefonata e, invece, nulla, silenzio assoluto. Ho tentato per quasi 3 anni di chiedere un incontro per sederci intorno a un tavolo, per sentirmi dire come sono andate realmente le cose, ma nulla. Certi loro comportamenti mi hanno indotto ad andare fino in fondo, cosa che ho fatto 2 anni fa, diventando una mamma che seccava, che investiga e, sinceramente, c’è da mettersi le mani nei capelli: alcuni ragazzi mi hanno bloccato su whatsapp e mi chiedo ancora oggi il perché. Fra di loro, un ragazzo che il 14 di luglio 2016 raccontò a me e ad un’altra persona che Matteo, a luglio durante una passeggiata con una educatrice, chiese improvvisamente di tornare indietro perché non respirava bene, avvertiva dolore al petto e faceva fatica a camminare“. Era una settimana prima della morte.

“Il 2 novembre quando ritirai l’autopsia di mio figlio, la responsabile della comunità disse a tutti i ragazzi con noi presenti, che dall’autopsia risultava che Matteo era morto per infarto e, proprio in quell’istante, uno dei ragazzi fece un gesto con la bocca e gli occhi come segno di disapprovazione. Non appena rimasti soli, lo stesso ragazzo che il 14 di luglio 2016 mi raccontò cosa era successo a Matteo, mi disse “Ma allora, Matteo è morto d’infarto, ecco perché
aveva male allo sterno quella sera mentre era uscito per una passeggiata
”.
Prima di accompagnarci in stazione chiesi alla responsabile da quanti giorni Matteo stava male e lei mi rispose che stava male già da giorni, “dopo tutto è stato detto anche ai Carabinieri”. Da quel momento e dopo aver letto l’autopsia, ho compreso che sono stata presa in giro e questo proprio grazie alle loro contraddizioni: il dolore dentro di me, era tanto ed è ancora grande e incommensurabile tutt’oggi, perché l’unico figlio della mia vita, desiderato più di un’altra cosa, poteva essere salvato. Bastava qualche flebo per ripristinare i sali minerali, per evitare lo scompenso elettrolitico. Era il 9 di giugno del 2016 e dal 13 di luglio del 2016 Matteo non è più tornato fra le mie braccia. Questo, perché nessuno ha creduto che stesse male nonostante lui chiedesse aiuto. Lo facevano lavorare sotto il sole con le temperature estive implacabili, lo facevano lavorare come se nulla fosse e senza un minimo di considerazione delle sue gravi condizioni di salute. A maggio, per la terza volta la Procura del Tribunale di Forlì ha richiesto una proroga delle indagini per altri 6 mesi: non posso che pensare che il caso non sia preso nella giusta considerazione, soprattutto con il pericolo che intervenga la prescrizione del reato di omissione di soccorso o di qualunque altra condotta che il PM intenda perseguire. Sono già trascorsi diversi anni, purtroppo“.

Matteo durante una missione di volontariato in Perù

Due genitori con una dignità incredibile attendono con dolore Giustizia e Verità

Noi speriamo con tutto il cuore che Giusi e Gianni riescano finalmente a trovare pace nei loro cuori. La scomparsa di Matteo lascia un vuoto che nessuno potrà mai colmare, anche per questo non chiedono pene o punizioni esemplari. Ma ci uniamo alla loro richiesta di Verità, anche noi vogliamo sapere se ci sono e chi sono i responsabili di quanto è accaduto a Matteo. Forza Mamma Giusi e Papà Gianni, vi stringiamo in un forte e caloroso abbraccio, certi che farete sempre l’unica cosa che sapete fare: AMARE.

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